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La fucilata

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La chiarezza delle nostre anime, sofferenti,

è stata come una fucilata, sparata sulla mia mano

impegnata a racchiudere il tuo cuore dentro a un pugno,

sparata alle 23.00 di una domenica sera, come ce ne saranno tante,

maciullandomi falangi, falangine e falangette,

da te che hai studiato mani, e ferite, sui tuoi libri di anatomia (comparata).

 

L’amore, a volte, è una fucilata nella schiena,

in alcuni casi, una fucilata sulle mani,

nei casi estremi, una fucilata al lobo occipitale,

e tu me l’hai spedita sulla mano destra,

obbligandomi a un battito mancino sui tasti,

consigliandomi ch’è meglio continuare a scopare, nel frattempo,

con chi abbiamo tra le mani (nel caso mio, tra la mano),

e a prepararci, sempre nel frattempo, una dignitosa via di fuga,

che, magari, col tempo, ci costringa a innamorarci,

vittime: a] della mia mente diffidente e

b] della tua inidoneità a dare un taglio a situazioni invivibili;

e cammini in strade senza uscita, con la lupara in spalla,

lupus in fibula, scrissi una volta, costringendomi a scrivere cazzate ametriche,

che raffazzonati critici abruzzesi, in concorsi dove si vincono maialini da latte,

valuteranno degni di un novello Cecco o, magari, di un becco Burchiello.

 

Lasciami aperto un angolo del tuo cuore

appoggiaci il fucile, e, presa la mira, spaccami anche la mano sinistra,

cosicché non abbia nessun modo, nessuno, di ricordarmi di te.

 

     [Patroclo non deve morire, 2013]

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